Incontro con l’autrice Andrea Marcolongo

Edizione 2017
LUOGO:

Libreria Laterza - Bari


PERIODO:

14 gennaio 2017

DETTAGLI:
Primo appuntamento dell’Associazione Donne in corriera alla Laterza con l’autrice Andrea Marcolongo di Roberta Monaco “ Senza la disinteressata curiositas sarà difficile immaginare lo sviluppo della creatività e della fantasia” (in Nuccio Ordine, Classici per la vita, La nave di Teseo, 2016, La scuola scommetta sulla curiositas, p.259) Quando la scrittrice, giovane e bella peraltro, Andrea Marcolongo, è stata invitata a Bari dalla Libreria Laterza (La lingua geniale.9 ragioni per amare il greco,Laterza, pp.155, euro15), e da alcuni Licei baresi in occasione della Notte nazionale del Liceo Classico, la “attivissima”Associazione culturale Donne in Corriera,in collaborazione con l’Associazione Ex alunni Orazio Flacco, come ha sottolineato Alessandro Laterza ieri pomeriggio nell’affollatissima libreria, non si è lasciata sfuggire l’occasione di conversare con questa autrice (non pensavate mica che fosse un uomo?), in testa alle classifiche di saggistica, ma soprattutto, di leggere il suo libro…geniale. Io per prima, non ero completamente all’asciutto dell’evento culturale in arrivo: avevo letto diverse recensioni, e da amante delle lingue (moderne), sentivo riemergere dentro di me la frustrazione classica. Un senso di inferiorità, impotenza culturale, difficile da spiegare e recuperare. Insomma, non ho mai studiato il greco, ho avuto una docente che mi ha fatto odiare il latino, era questa forse l’occasione per cominciare a sanare qualche ‘debito’, per usare il lessico scolastico, con le lingue cosiddette “morte”. In realtà morti siamo noi se non ci svegliamo e non ci liberiamo di pregiudizi, di etichette e clichés come quelli che considerano il greco una lingua troppo difficile, inutile, morta appunto. Ed è stata proprio questa la sfida intelligente dell’autrice, trentenne, rispondere ad un’esigenza, forse non così isolata. Non è un caso se si ritrova oggi piena di inviti nei licei della nazione, pur avendo scelto altre strade nella sua vita professionale. “Il libro è esploso così”, confessa raccontandoci aneddoti divertenti della sua prima esperienza con la “scrittura”, o degli anni del Liceo. Per questo sente il dovere di rispondere alle numerose domande di docenti e studenti, anche se purtroppo alla ricerca spesso di rimedi facili, soluzioni veloci al fine di trovare la versione giusta al momento giusto. Ma è proprio questo il punto, la velocità non è da considerarsi come un valore, per così dire, umano: “non credo nella velocità come valore umano, va bene per i treni, ma per gli umani no” afferma la Marcolongo. La vita non è facile, nella vita nulla è facile (o almeno per lei non lo è stato), perché dunque non abituare sin dai primi anni di liceo alla difficoltà, alla vita adulta con i suoi spigoli e le sue sconfitte, i fallimenti, laddove finanche preparare al valore del “fallimento” può essere istruttivo, importante? Ma torniamo al punto di partenza, ovvero al libro. Inutile dire che a seguito di queste considerazioni all’autrice non farebbe piacere sapere che l’ho letto velocemente, d’un fiato, non come si legge un saggio, ma come si legge un racconto, un piacevolissimo racconto, che ti fa sentire piccola e grande al contempo, quasi entrare in empatia con chi scrive, chi ha vissuto l’esperienza narrata, riviverne il pathos, anche solo in parte. Il libro d’altronde, non è solo un luogo di riflessione, convergenza, o promozione di “buone pratiche”, come diremmo oggi, ma contiene la sua sostanza, o ‘materia’, direbbe Montaigne, già nel titolo, anzi, nel sottotitolo: 9 ragioni per amare il GRECO. Mi piace l’uso del modo infinito nel titolo AMARE”, intanto per la potenza semantica che l’infinito possiede, ma perché, come ha dichiarato l’autrice stessa, siamo di fronte ad una dichiarazione d’amore, ad un atto d’amore bizzarro, si potrebbe obiettare, verso una lingua, lontana, ma la cui bellezza e genialità attraggono, solo se si sceglie di amarla e di provare a farla amare. Ecco perché non siamo di fronte ad un racconto convenzionale di grammatica greca, né di fronte ad un manuale, a un dizionario, a una storia della lingua, ma a un libro che ti porta dentro la Storia, le storie, la letteratura, la poesia, l’autobiografia, la vita, le passioni. Gli ingredienti ci sono tutti, grazie alla capacità di questa scrittrice esordiente, di accompagnarci dentro l’avventura più bella del mondo, che è poi quella di crescere, imparare, amare. Ed ecco che dalla paura, dal trauma che le difficoltà intrinseche ad una materia (scolastica o no, poco importa) quale il greco, possono comportare, lei – una donna a cui un padre che adora ha imposto un nome maschile – riesce a far innamorare coloro che questa lingua proprio non la conoscono, a rendere viva anche una statua di marmo, ad intrigarci con la descrizione dell’”aspetto” di questa lingua, della sua eleganza, del suo stile, come se fosse una persona. Un personaggio. Con le sue abitudini (il vino greco p.10), i suoi ritmi e i suoi tempi (il tempo indefinito dell’aoristo p.19), il rapporto con gli stranieri (i barbari pp.24-25), la sua voce e la sua assenza di voce (Il silenzio del greco, suoni, accenti e spiriti, p.28), i suoi doveri, i suoi diritti (p.37), i suoi rapporti (p.52), i suoi colori (i Greci non vedevano tutti i colori? p.80), i suoi cambiamenti… Ogni capitolo è un viaggio, dove passato presente e futuro si fondono in quelle nuances, sfumature, di senso e non di sensi, che non necessariamente ritroviamo nella nostra lingua. Ed è appunto questa la bellezza e l’unicità di questa lingua geniale. Non solo regole o fredde gabbie e im-posizioni, ma “coscienza linguistica”, atto volontario di amore verso qualcosa che non può tornare ma può resistere alla distruzione. Qui viene naturale il doloroso riferimento alla distruzione della nostra stessa lingua, fatta di assenza, il più delle volte di pittogrammi (così lei chiama gli emoticon/faccine o le immagini standard con cui oggi si evita di parlare con la propria lingua, o di rispondere con i propri sentimenti), dove la grammatica (italiana) diventa un optional. Dove la superficialità regna sovrana. Non ci si pongono domande, si cercano subito risposte, meglio se su internet, anzi fra le domande che l’hanno ‘colpita’, c’è quella di dare qualche dritta, insomma: “uscire la versione”! I suoi occhi azzurri guardano in alto (interrogano gli dei?). Una sorta di greco: istruzioni per l’uso, visto che sei così brava, sembrano pensare gli studenti tre punto zero. Qui lei, con un po’ di amarezza, nonostante la giovane età, ammette che sta scomparendo un modo di pensare e vedere un mondo, che fa tanta tristezza constatare che le lingue non si parlano più bene, il lessico si impoverisce, nonostante si moltiplichino i mezzi di comunicazione. Il problema è che si confonde il mezzo con la comunicazione stessa. Si perde il “valore” della lingua. La sensibilità linguistica (una lingua in primis comunica un mondo). La bellezza di una lingua. Di tutte le lingue (se ne parlano ancora 4500!). E poi, perché misurare sempre l’utilità? Coltivare l’”inutile” ci aiuta a dare un senso forte e nobile alla vita, scrive Nuccio Ordine nel bel libro Classici per la vita. Una piccola biblioteca ideale. Tutte le materie allora sono parimenti utili e formative, certo la scuola non basta, ci vuole la formazione post scuola, ci vorrebbe “un mondo più al dativo e meno all’accusativo”. E, adesso che l’ho imparato anch’io, aggiungerei all’ottativo, un modo verbale chiamato desiderio. Il desiderio, il semplice (o difficile?) desiderio di studiare, di riuscire a raccontare una lingua bella, una lingua… geniale.

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