Io non ho dimenticato…
DATA: 07 Febbraio 2017
TAGS: donne in corriera, io non ho sbagliato, Laterza, libreria, pagone,
23.1.2017 ore 18 L’Associazione “Donne in Corriera” ha ospitato alla Libreria Laterza ONOFRIO PAGONE Io non ho sbagliato, ed.Giraldi, Bologna, 2016
Intervengono con l’autore Mariella Fanciano e Gabriele Protomastro
Letture: Katia Berlingerio
Io non ho dimenticato…
a cura di ROBERTA MONACO
A distanza di pochi giorni dal precedente e interessantissimo incontro con un’autrice “geniale”, la cui memoria letteraria rimanda un po’a quell’amica geniale dell’enigmatica Ferrante, mi chiedo se “non sbaglio” a presentare un nuovo ospite, il giornalista della “Gazzetta del Mezzogiorno”, con un enigma che ci porta (in casa) la storia di una ragazza rumena, tra ingiustizie, violenze, difficoltà … quasi infinite. Romanzo”rumeno” tra ferocia e speranza lo definisce Raffaele Nigro (Gazzetta del Mezzogiorno del 23.1.17), un libro “rapido nella stesura (…) di denuncia e di partecipata rabbia e commozione, in quanto nato da una vicenda vera consumatasi nei tribunali di Bari e all’ombra di una legge senza occhi”, o senza cuore, si potrebbe aggiungere, quando si tratta di strappare un figlio alla propria madre. E trattandosi di leggi e tribunali, ad intervistarlo ci sono il giudice Gabriele Protomastro e l’avvocato Mariella Fanciano, che brillantemente e senza mai svelare la trama, intrattengono il folto pubblico, attento e come sempre non privo di domande stimolanti. G.Protomastro, nella sua bella introduzione, spiega che il romanzo si ispira ad una vicenda realmente accaduta che vede una protagonista minorenne confrontarsi con una realtà particolarmente dura e dolorosa, in cui rientrano temi come la clandestinità, la migrazione, la maternità, la violenza sulle donne e, non ultimo, il problema dell’amministrazione della giustizia e del suo funzionamento. Temi che ritroviamo spesso sui media, talora con opposti schieramenti, e questo, spiega il giudice, è già un errore poiché ogni aspetto può essere rivisto. Noi leggendo il romanzo partiamo dal punto di vista, anzi dagli occhi di questa ragazza, Annamaria, dalla sua ingenuità, dalle sue considerazioni dei problemi che si trova ad affrontare, alla ricerca di un futuro migliore oltre confine. Il titolo Io non ho sbagliato, lungi dall’evocare supponenza, rende bene gli obiettivi di una propria vita e felicità interiore, con pacatezza e non orgoglio, soprattutto quando la protagonista si troverà a subire i meccanismi del processo e di una giustizia, anzi di un giudice che non le dà ragione. Ecco perché tra i primi brani ad essere letti dalla bellissima voce di Katia Berlingerio, c’è quello in cui lei dice “ho capito che affrontare un processo è come affrontare un mare in burrasca”…
E tuttavia, dobbiamo ammettere che il più delle volte abbiamo una visione soggettiva e parziale del processo stesso. Spesso il processo è così svincolato dagli interessi dei singoli, ci ricorda Protomastro, distraendo il pubblico con brevi digressioni personali e professionali. Senza mai privare del piacere della lettura, ci fa apprezzare lo stile asciutto del romanzo, la prosa secca, il ritmo calzante e la terminologia semplice, “perché il lettore deve interpretare il pensiero del narratore che deve essere uno e uno soltanto”. Qui il giornalista (che è stato inviato di guerra in Somalia e in Albania), ci tiene a dire che è la prima volta a presentare il suo libro davanti a un giudice, a un avvocato, e tradisce un certo timore. Approfitta per raccontare il rapporto con l’editore bolognese (fortunatamente donna), e precisa che non ha “riscritto” il racconto – come dovrebbe fare un cronista, senza nessuna partecipazione emotiva – lasciando che questo venisse presto dimenticato, ma ha lasciato il canovaccio (che c’era già tutto) così com’era, facendo parlare la ragazza in prima persona, ma soprattutto le emozioni che questo incontro, questa storia, avvenuta nel 2005/2006, aveva suscitato. Alla domanda dell’avvocato Mariella Fanciano: è stato difficoltoso per un uomo raccontare i sentimenti, gli stati d’animo legati al delicato tema della maternità, della gravidanza? La risposta è: ma quello che importa è la “genitorialità”, e questa nasce nella coppia, non è declinabile solo al femminile! Vero è, incalza la Fanciano, che gli uomini del romanzo rimangono sullo sfondo, irrilevanti e deludenti: delude Gheorghe il giovane fidanzato che si tira indietro alla prima difficoltà e abbandona Annamaria, delude il padre, duro e critico verso la protagonista e la sua voglia di maternità, delude il camionista che addirittura cerca di violentarla, delude il prete (con le sue “suorine”) che si arroga il diritto di decidere la vita degli altri: è stata una scelta consapevole o una semplice costruzione narrativa? Qui lo scrittore dichiara che pur avendo la possibilità di guardare in modo ambivalente, si è “autoassolto”, ha solo trasferito ciò che la ragazza ha raccontato, quel giorno, in uno studio di avvocato, impaurita finanche del fatto di parlare in sua presenza. Tuttavia, riprende Fanciano, “la parola rende liberi”, l’importanza della parola e della comunicazione nella travagliata vicenda della protagonista, gioca un ruolo centrale. Altro tema interessante è proprio quello della lingua e della “traduzione” di o da una lingua straniera. Tradurre o tradire? Qui, in qualità di traduttrice mi piace riportare al noto dibattito sul delicato e sottovalutato lavoro del traduttore, in particolar modo quando si hanno di fronte immigrati, o lingue poco parlate. La Fanciano sottolinea come Annamaria viene ingannata proprio per incapacità traduttiva (suggestiva la lettura del brano in cui la ragazza prova la sensazione di trovarsi in “un acquario in cui sentivo e non capivo”…).
Romanzo di formazione, romanzo sociale , di denuncia? Molto è stato già scritto su questo libro e non intendo recensire o ripetere giudizi che altri, più degni di me, hanno già scritto, però le riflessioni possibili sono ancora tante e veicolano altri temi come l’identità, il tempo, la solitudine, l’integrazione, la drammaticità del processo minorile, l’educazione (ritorna il postulato educativo del Québec secondo il quale “i genitori possono dare ai figli solo radici e ali”), l’adozione.
Il libro è dunque quasi un monito sui limiti della giustizia, sul funzionamento delle istituzioni che ruotano intorno agli immigrati (minorenni e non) che fuggono dalla guerra o dalla povertà e che hanno bisogno di particolare cura e protezione da parte del paese dove sperano di avere un futuro migliore. L’importante è non girarsi indietro. Sant Agostino direbbe “canta e cammina”… e lei lo fa.