“Ulisse: un eroe dei nostri tempi?” Incontro con Marilena Lucente

DATA: 24 Febbraio 2019

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Libreria Laterza 26 gennaio 2019 ore 18

MARILENA LUCENTE presenta alle Donne in Corriera il suo libro, in forma di pièce teatrale, Di un Ulisse di una Penelope (Mutamenti/edizioni, Caserta, 20 17, pp.60, 6 euro).

Intervengono Sandra Saponaro e Sandra Lucente. Letture di Katia Beringerio

Ulisse: un eroe dei nostri tempi?
di ROBERTA MONACO

Per molti è l’eroe più presente, quello che ci ha accompagnati nel nostro essere uomini imperfetti.” (Giulio Baffi)

Resta sempre in piedi MARILENA LUCENTE, pugliese (ma insegna e vive a Caserta), come se avesse davanti un teatro. E siamo tutte e tante in libreria ad accogliere questa autrice speciale, giornalista e scrittrice di lungo corso (per brevitas ricordiamo Le giocatrici. Lotto, Bingo e slot machines, 2014, Napoli 1647. Rivoluzione d’amore, messo in scena dalla Compagnia Teatrale Mutamenti/Teatro civico 14), che ci regala un vero e proprio evento performativo. Se questo svanisce, la traccia resta.

È un sabato, il 26 gennaio, e le Donne in Corriera, insieme al folto pubblico presente hanno voglia di ascoltare. Di vedere. Di porsi e provare a rispondere alle sue domande: ha ancora un senso il viaggio e il ritorno nei luoghi dove ci sono le radici, le amicizie e soprattutto gli affetti profondi? Se lei è qui, ed è presente anche la sorella Sandra, che invece vive a Bari, già l’anno scorso nostro ospite con il libro Itinerari matematici in Puglia (dove la Puglia è un pretesto per spiegare la matematica più complessa), la domanda è retorica. La nostra socia SANDRA SAPONARO modera egregiamente l’incontro, mentre KATIA BERLINGERIO, ha selezionato le letture che “reciterà” come se fossimo a teatro.

Il testo infatti è stato scritto e pensato per il teatro. E tuttavia l’eclettica MARILENA LUCENTE opera nella scuola, è un’insegnante di storia e sa trasmettere bene i principi della democrazia, scrive saggi di didattica e si occupa di cinema, teatro e narrazione. Ha scritto il suo primo testo a nove anni e poi non ha più smesso. Ma il vero interrogativo lo richiama la musica di “Che cos’è l’amor?” di Vinicio Capossela, posta all’inizio e alla fine della pièce, come si legge nella prefazione del critico Giulio Baffi. Libro sull’amore, quindi, indagine nei sentimenti, nell’anima, che indaga a sua volta sul valore della vita di oggi nel tempo del dominio della tecnologia, dei rapporti liquidi e veloci, delle amicizie virtuali. E per fare ciò si possono scomodare i due protagonisti per antonomasia dell’Odissea, Ulisse, re di Itaca, e Penelope, la regina e sua moglie.

Un viaggio, tanti viaggi, un unico ritorno. “Ma quando si tratta di Ulisse ogni certezza vacilla”. Venti anni di assenza. Il tema forse è proprio l’attesa (“L’attesa è tempo che scava”, p.35) e l’attesa è il tempo che si dilata. Il dolore dell’assenza e della lontananza (“L’oceano di dolore che avevo dentro si placava” p.50). Sino al ritorno ad Itaca. Quell’unico giorno che l’autrice decide di raccontare, per raccontare l’inaspettato, raccontare l’amore che fa male, o forse semplicemente chiedersi: che cos’è l’amore?

Di un Ulisse, di una Penelope” (ultimo spettacolo del Teatro Civico 14, scenografia essenziale e visionaria dove il mare è il vero protagonista) è il racconto della storia di un eroe che tutti conosciamo, a cui tutti dobbiamo qualcosa, e che ancora, secoli dopo, continua a farci domande. Con lui, accanto a lui, una donna che lo ha atteso, con un amore antico, sempre in dialogo, anche lei, con il mare.

Ognuno ha un modo di sentire l’attesa. È un attimo o un tempo lunghissimo, come nella performance di Marina Abramovich, le mani dei due si cercano, si sfiorano, si toccano. Come in un sogno, come nella vita, come in tutti i momenti in cui è capitato di essere Ulisse o Penelope. Attesa salvifica) e desiderio, pensieri, esitazioni. Cosa ha fatto di loro la lontananza? Ulisse parla un napoletano antico, ha fatto sua questa lingua che del Mediterraneo ha accolto tante lingue. Tutte le lingue che ha ascoltato gli sono rimaste attaccate come alghe. E poi il napoletano sa esprimere al meglio tutte le sue emozioni, tutta la paura mescolata alla rabbia di chi può perdere tutto. Uno spettacolo dedicato al ritorno, il nostos, come lo chiamavano i greci, qui sentito come momento privilegiato per interrogarsi sulle ragioni del viaggiare, del conoscere, del rapporto con la propria terra, con le proprie radici. Di un Ulisse, di una Penelope sorprende e sospende gli spettatori scena dopo scena, nel continuo ondeggiare tra il richiamo del mare e la bellezza di Itaca, l’erranza di Ulisse e la fermezza di Penelope, la forza dei classici e la prepotente attualità dei sentimenti lontani nel tempo. Da lettori, poi, ci si innamora del formato grafico. Il libro è fatto di tante citazioni, incastonate e scritte lateralmente, quasi ad incitare al viaggio, alla partenza per un viaggio che è letterario (tra gli autori: Erri De Luca, Dante, Omero, Neruda, Foscolo, Pavese), intertestuale.

Una sfida insomma quella che accetta MARILENA LUCENTE, ovvero scegliere di portare in scena l’Ulisse, “ogni volta c’è sempre qualcuno che parla di Ulisse”, le dirà il regista scoraggiandola, ma l’autrice, che conosce a fondo la materia letteraria, sa che Ulisse è dentro di noi, noi siamo abitati da Ulisse, dalla scuola media alle superiori questo eroe fa parte di noi, del nostro immaginario. Lo riconosciamo in tanti uomini della nostra terra, che si allontanano, che la abitano; questo partire, questo Mediterraneo (tutte le città di mare non si assomigliano?) è il mare. Il mare è un confine, tema importante oggi (qui si potrebbe aprire una parentesi tra confronto e confine, o forse i confini sono dentro di noi…). Il mare è uguale per tutti ma ogni volta che entriamo nel mare ne usciamo diversi. Dimensione di perdita del mare. L’Odissea ci parla di perdita. Basta non tornare mai per essere amati per sempre?

Penelope ci ha regalato il valore della casa, della famiglia, l’odore di una casa. Ulisse conosce il pericolo dunque del suo ritorno, conosce gli uomini…. Sarà un ri-conoscersi? Il tempo non esiste? Il tempo non esiste nell’inconscio. Questo passare davanti è quello che i greci chiamano cronos, appunto il tempo che passa; diverso dal cairos, l’istante. Che non ha un’unità di misura.

Tempo della coscienza. Il cambiamento avviene quando si presenta il rimosso, quello che tu non vuoi vedere. Ma come? Con l’eros. La ferita dell’addio la hanno conosciuta tutti, nel gioco dell’amore. Aspettare è più che amare, dice Penelope, ma Ulisse, che ha vissuto di ricordi (nostos) dice che “niente è più che amare”. Lei è una donna del Sud, con quel senso oblativo, di fedeltà, dedizione (“Amami, perché l’amore non esiste, ed io ho provato tutto ciò che esiste”). Ma il suo regista non vuole che Penelope gli butti le braccia al collo. Dunque l’autrice va contro la sua lettura dell’opera. La misura dell’amore sta in quel “scegliere”. Lui ha vissuto il nostos, la nostalgia… (classificata come malattia nel Seicento).

Argo, Medea, Giasone, eroi ed eroine nel mondo non si misurano mai dalle sconfitte e dalle vittorie ma dalla fedeltà a se stessi. Il dolore della sincerità, la libertà di essere se stessi è proprio la misura eroica. Le riflessioni sono interrotte dalla voce che ci legge un brano ( “Io che avevo dimenticato l’infelicità…. Siamo quello che ci manca) che ci riporta al tema del cambiamento, quando si presenta alla nostra porta il rimosso.

Quando arriva la forte prepotenza del ricordo allora la frase di Don Tonino Bello: “aspettare è l’infinito del verbo amare” ci placa. L’amore per Massimo Troisi è quando due persone stanno in una stanza e le persone che stanno con loro capiscono che si amano… Ed è già amore fra il pubblico e il racconto, fra i lettori e la brava autrice-attrice.

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